di Nino Campisi.
Apparso con un eclatante successo sulle scene francesi nel 1932 con l’Hermine (ispirato a Delitto e castigo di Dostoevskij), anche Jean Anouilh, dopo Gide, Giradoux e Cocteau, si dedica alla riscrittura della tragedia antica e fa dell’Antigone una tragedia moderna reinterpretando il mito greco.
La storia è sostanzialmente quella di Sofocle ma con i riferimenti temporali attualizzati a un’epoca contemporanea. Antigone diventa così una eroina dei tempi moderni che rifiuta ogni compromesso e si oppone alle ragioni del potere, qualsiasi esse siano, che sacrifica la sua giovinezza per un ideale.
Se è vero, come suggerisce Mario Trombino, che il mito della tragedia è universale, mentre la Storia ci parla di eventi particolari, è anche vero che la tragedia nel suo essere universale parla anche di noi, qui e ora. Anouilh con la sua Antigone parlava soprattutto ai suoi contemporanei.
Rappresentata nel 1944 al Théâtre de l’Atelier per la regia di André Barsacq, in una Parigi ancora occupata dai tedeschi, l’Antigone di Anouilh suscitò reazioni contrastanti.
Gli opposti inconciliabili di Antigone e Creonte, rappresentati sulla scena di un teatro freddo e male illuminato, scatenarono la polemica di un dialogo impossibile tra collaborazionisti e resistenti.
Di fronte a quel tentativo di attualizzazione della tragedia bisognava schierarsi, e uscire alla scoperto, dichiararsi a favore o contro l’esercizio dispotico del potere.
I collaborazionisti videro in Creonte il rappresentante di un realismo politico che non si preoccupava della moralità, e nell’Antigone una "terrorista" votata a un sacrificio inutile e addirittura controproducente.
Al contrario, i resistenti videro in Antigone la figura dell’eroina che con il suo sacrificio trionfa sul tiranno.
Gli impermeabili di cuoio nero con cui Barsacq aveva vestito le guardie, fortemente somiglianti a quelli della Gestapo, comunque non lasciavano dubbi.
E anche se il testo, presentato alla censura nel 1941, aveva ricevuto il visto delle autorità tedesche, Barsacq fu convocato d’urgenza dall’ufficio della propaganda tedesca per chiarimenti. Gli fu intimato di sospendere le repliche dello spettacolo.
Non fece in tempo a ubbidire, infatti il 13 agosto del 1944 tutti i teatri parigini furono chiusi. Gli americani erano sbarcati in Normandia. Una settimana dopo Parigi era già libera.
Antigone, dunque, è un’opera del periodo buio, scritta nel momento in cui la Francia subisce la sconfitta dalle armate naziste e cade sotto l’occupazione tedesca. Nel 1942 Anouilh vive a Parigi, una città militarmente occupata dopo la sconfitta del 1940 e l’armistizio. La Terza Repubblica è stata abolita e rimpiazzata dallo Stato francese sotto la guida del maresciallo Pétain. La Francia è divisa in più parti.
Mentre lavoravo alla regia ripercorrevo i tragici avvenimenti di quegli anni, dalla disfatta di Dunkerque nel 1940, all’attentato contro il futuro primo ministro Pierre Laval, ad opera di Paul Collette, il 27 agosto del 1941.
Il carattere eroico e sacrificale della resistenza, colto nella sua genesi, in quel gesto apparentemente isolato di Paul Collette, che metteva a nudo la disperazione e lo sbandamento in cui era precipitata la Francia, aveva ispirato Anouilh nel riscrivere la tragedia, attualizzandola.
E a dire di no, e a immolarsi al sacrificio è l’Antigone. Ma già nel personaggio e nelle ragioni del tiranno Creonte, si potevano riconoscere sia il dittatore contemporaneo sia le spietate leggi del nuovo stato.
Nino Campisi
Nella foto: Creonte e Antigone interpretati da Jean Davy e Monelle Valentin.
Parigi, Théâtre de l’Atelier, 1944.
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