"Il mio brindisi al Novecento". Intervista di Antonio Gnoli a Edoardo Sanguineti.
La Repubblica, 7.12.2005.
Racconterà a modo suo e dunque con scelte d´autore quello che considera un secolo interminabile.
Dal 12 al 16 di questo mese il poeta è impegnato a Bologna in un progetto "monstre".
Sono presenti filosofi come Heidegger , scienziati come Einstein, saggisti come Spitzer o come Mauss.
"Sarà un grande mosaico composto da cento tessere , un gioco con associazioni scientifiche e letterarie. La mia ambizione non è quella di offrire il meglio di quanto è stato scritto: lo spettatore indovinerà."
Con una performance di cinque giorni - dal 12 al 16 di questo mese - sarà la indiscussa star di Bologna.
A settantacinque anni, età in cui in genere si amano surplace e contemplazione, ricordi e facce amiche, (il compleanno verrà festeggiato il dieci a Genova) Edoardo Sanguineti moltiplica le energie e le investe in un progetto monstre: racconterà il suo Novecento. Un secolo di tragedie e di slanci, che quelli che vi sono nati si ostinano a considerare il più intrigante di tutti.
«Non so se sia il più intrigante, magari come una bella donna che vorremmo conoscere più a fondo, certamente è per me il secolo interminabile, e del resto il titolo che ho voluto dare a questa impresa è: Ritratto del Novecento, un secolo interminabile ».
"Interminabile" sembra pensato in opposizione al secolo "breve" di Eric Hobsbawm. È così?
«A parte il fatto che il libro di Hobsbawm è quanto di meglio uno storico potesse scrivere sulla nostra contemporaneità, trovo un po´ forzata la tesi di far nascere il secolo nel 1914 e farlo morire nel 1991» .
Sono due date emblematiche.
«È indiscutibile. Con una inizia la guerra mondiale e finisce la Belle époque, con l´altra si verifica il crollo del comunismo. Ma in realtà il novecento inizia prima».
Quando?
«Se dovessi fare il ritratto della modernità partirei con Manet».
E finisce?
«Se vogliamo stare al calendario, è chiaro che siamo fuori dal Novecento. Ma ne abbiamo ereditato tutti i problemi. Le svolte secolari non sono mai cronometriche. C´è sempre una certa dose di arbitrarietà nelle nostre scelte».
A questo punto ci dica cosa metterà dentro il suo novecento.
«Se me lo consente vorrei per un attimo tornare sul titolo che come le ho detto sarà: Ritratto del Novecento, il secolo interminabile. Ci sono due elementi parodici, di uno abbiamo già parlato e si lega alla parola "interminabile" che sottende il rovesciamento del "secolo breve" di Hobsbawm.
L´altro è riferito alla parola ritratto che allude al libro di Joyce che Pavese volle tradurre con il titolo Dedalus, ma in realtà in originale era: Ritratto dell´artista da giovane. Questo stesso titolo ha avuto a sua volta due parodie: Dylan Thomas con Ritratto d´artista da cucciolo, e Jean Starobinski con Ritratto dell´artista da saltimbanco».
Insomma il suo Novecento sarà un grande gioco.
«Un gioco dentro il quale accanto ai rovesciamenti ci saranno le associazioni filosofiche, scientifiche, letterarie, artistiche. Il secolo sarà un grande mosaico composto da cento tessere».
Perché proprio cento?
«Potevo metterne duecento. O magari 150. Cabala per cabala ho preferito cento. E saranno cento autori di testi ai quali mi appoggio per raccontare il secolo».
Veniamo ai fatidici contenuti.
«Intanto non ci sono solo testi letterari, ma anche teatrali, poetici, scientifici, filosofici. Sono presenti filosofi come Heidegger, scienziati come Einstein, saggisti come Spitzer, antropologi come Marcel Mauss, architetti come Le Corbusier. C´è un manifesto di Tzara che però non interviene come poeta ma come teorico. C´è un manifesto pittorico di Baj. Ho messo insieme le cose più eterogenee che non appartengono solo all´Italia ma al novecento planetario e globalizzato. Ci sono testi che vanno dal Sud Africa al Messico, dalla Cina al Giappone. Però non è una crestomazia, non c´è nessuna ambizione al bello».
Ma alla frammentazione sì.
«Non sarei così drastico. Vorrei provare a fornire attraverso cento documenti una immagine del novecento. Naturalmente ci si può chiedere perché ho scelto certi autori e non altri. La mia ambizione non è quella di dare il meglio del novecento, tanto è vero che i testi vengono presentati in maniera rigorosamente anonima. Non dirò: "adesso vi leggo una pagina di Proust". Lascio allo spettatore la possibilità di riconoscerlo».
In fondo il novecento è stato anche il secolo dei quiz.
«Chi vuole si può divertire a riconoscere chi c´è dietro al testo. Ma quello che a me interessa è esplorare il novecento in una maniera non tendenziosa, tenere conto delle deviazioni ideologiche, delle diverse prese di posizione culturale».
Un esempio?
«Se devo documentare lo stato attuale della fisica dovrò parlare non solo di Einstein ma anche della teoria quantistica e perfino di un testo come Contro il metodo di Paul Feyerabend. Così in architettura non c´è solo Le Corbusier ma anche Gehry. Il panorama deve essere deliberatamente largo. Se pensassi al novecento come a un secolo compatto, so che non funzionerebbe».
Ma in questo modo rischia di scapparle di mano.
«È vero, e nondimeno ci sono mille direzioni di cui tenere conto: i salti che si producono, le contraddizioni che nascono e di cui questo montaggio di cento tessere sarà la rappresentazione. Ai documenti scritti aggiungerò quelli visivi (quadri, fotografie, filmati) e musicali. Sarà una colonna sonora molto composita: da Strawinsky e Schönberg fino al jazz, al rock and roll. C´è spazio perfino per i Sex Pistols».
E i Beatles?
«Non ci sono, in compenso ci saranno i Rolling Stones. Lo so a cosa sta pensando, che è un´ingiustizia. Ma a disposizione per i cinque giorni ho solo dodici ore e mezza. Il che ha imposto dei sacrifici».
Ma come fa a immaginare il secolo senza i Beatles?
«La capisco, se vuole piango con lei. Ma il mio è un gioco a imbuto, Più si va avanti e più si restringono le possibilità di scegliere. Non ho messo neppure Breton, eppure alcune sue cose le adoro».
Ma i Beatles le piacciono o no?
«Sono pieni di garbo. Ma le ripeto la selezione non è fatta sugli indici di gradimento o di successo. Sono io che prendo posizione. Ad esempio Satie entra nel mosaico con diverse musiche. Ma so bene che esistono musicisti migliori che ho lasciato fuori. Ma è un gioco che non risolverà mai nessuno. chi vuole giochi e magari protesti. Anche questo fa parte della modernità del novecento».
Questa modernità ha una data?
«Baudelaire e Manet sanno di essere moderni. Lo sa Flaubert. Manet è emarginato. Baudelaire e Flaubert sono considerati immorali, nel senso del costume artistico. il loro modo di scrivere non corrisponde più alla vecchia idea del narrare».
E qual è la nuova?
«Pensi alla coppia Bouvard e Pécuchet. Loro fanno crollare la vecchia impalcatura narrativa, ci si avvia al lavoro di montaggio. È un collage apparentemente bizzarro. Quando Leo Spitzer osserva che si è passati dalla numerazione ordinata a quella caotica sta pensando al modo diverso in cui la modernità comincia a narrare. Dalla Bibbia alle teogonie, ai poemi, vediamo che l´enumerazione è un principio che sorregge l'ordine del mondo. Come nasce la terra?
Come nasce l´uomo? La genealogia di Gesù o il catalogo delle navi nell´Iliade, sono enumerazioni ordinate. mentre le enumerazioni moderne sono un caos. E questo che genera il montaggio: l´ordine delle cose come disordine».
È lo choc.
«Esattamente».
Vorrei che concludessimo questa intervista con un piccolo gioco. Io le cito cinque autori e per ognuno lei dà il motivo per cui è dentro il mosaico.
«D´accordo».
Kafka .
«Di lui mi colpiscono tante cose. Ma quella che mi interessa è la sua idea di impossibilità di concludere. Nel senso che, esclusi alcuni racconti brevi, le sue grandi opere sono inconcluse».
Accade anche con Musil.
«Non lo nego e se vuole è un miracolo che la Recherche finisca. La verità è che importa sempre meno come una storia vada a finire. Quanto a Kafka la diversità del suo modo di non concludere rimanda all´affabulazione degli archetipi sacrali».
Veniamo a Thomas Mann.
«Il punto nodale per me è il tema dell´incompatibilità tra arte e mondo borghese. Gli artisti disegnati da Mann sono un po´ degli alieni, come l´albatros di Baudelaire che non riesce più a volare».
Salinger.
«Ai miei occhi rappresenta una sorta di falso candore. Il mondo guardato con occhi pseudoinnocenti. Qui il problema dell´esistenza si risolve in una sorta di innocenza più disperata di quanto non sembri. Quando penso a Salinger mi vengono in mente i cartoni di Schultz, le storie di Snoopy».
Montale.
«Lui è l´incarnazione dell´inetto. Esprime l´inettitudine esistenziale che è poi una delle chiavi del novecento. Non è un caso che Montale ami Svevo e Gozzano, due grandi inetti».
Moravia.
«C´è una pagina che mi interessa e che è tratta da Gli indifferenti. Il protagonista Michele si ferma davanti a una vetrina dove c´è un pupazzo pubblicitario, una specie di ometto che si fa la barba. È chiaro che si tratta di una pubblicità ai rasoi. Michele medita su questa immagine e pensa che sotto non c´è solo l´invito ad acquistare quel prodotto, ma a essere come lui, ad alienarsi in una sorta di espropriazione dell´io di fronte a un modello anonimo di consumatore. Tutta la modernità si scopre in episodio minimo. È il passaggio dalla propaganda alla pubblicità».
La Repubblica, 7.12.2005
Intervista di Antonio Gnoli